Difficile restare indifferenti di fronte ai lavori di Giovanna Andreassi.
Certo alla ricerca di una sua personale e specialissima dimensione, la sua esperienza si sposta e si addentra nei territori artistici più contrastanti.
Il mondo artistico della Andreassi sembra oscillare tra la ricerca di un tempo perduto che affiora, non tanto nella nostalgia del ricordo, quanto nella esplicitata dichiarazione della sofferenza e del dolore. Questo tema trova in lei due strade alternative: una fase di ricerca puntuale ed involuta che ci riporta, tra gli altri, all’universo della nostra infanzia ed ai nostri giochi (ma il colore è sempre rivelatore di un percorso lontano da un tracciato consolatorio) ed un’altra in cui la ricerca di sé stessi, o frantumazione, avviene nel più classico dei modi: attraverso il tema del viaggio. Così nascono quadri che, sotto un’apparente e rassicurante veste pittorica, rivelano via via stralci di una seconda realtà, quella che cattura, trasforma e fagocita tutto quello che attraversa, che trattiene ciò che gli serve ed espelle crudelmente, denunciandolo, ciò che rifiuta.
Questo viaggio naturalmente porta la Andreassi a contatto con una diversa sfera artistica che dall’oggettivo si sposta sempre più al soggettivo, la ricerca si muove lentamente e non avviene più sul mondo in divenire (in cui si vive) ma in una dimensione più cupa (in cui tutto è muto e fermo) in cui l’autoscatto rivela l’assenza di speranza, l’arrugginita cancrena del mondo.
Sicuramente molto coinvolgente, questa ultima fase dell’artista risulta però a cavallo di un certo gusto contemporaneo che è concentrato sull’effetto trash dei soggetti proprio perché il linguaggio vuole essere letto come denuncia al malessere che affligge l’umanità. Il suo obiettivo così dimostra lucidamente, padrona di una purezza e sensibilità, che merita di puntare oltre.
Comunicare con l’altro (mondo-individuo) e in questo dialogo ritrovarsi e riscoprirsi in lotta con la propria identità in continuo divenire, in un gioco-incubo in cui il bene e il male, l’ironia e il dramma si tengono per mano sembra essere l’obiettivo della sua nuova ricerca ma…può esistere un termine?
Silvia Campana
Maggio 2007